L'Europa contro l'obsolescenza programmata, in arrivo una norma

Vi ricordate i tempi del Nokia 3310? Quei telefonini sembravano avere una vita infinita. Non si rompevano praticamente mai e anche quando succedeva, si poteva abbastanza facilmente intervenire a un prezzo decisamente vantaggioso. Insomma, la fatidica frase "mi conviene di più comprarlo nuovo" era veramente rara.

Perchè accadeva? Beh, le ragioni erano molteplici. Innanzitutto, i modelli dei terminali in circolazione erano si tanti, ma molti meno di quanti ce ne sono adesso. Questo vuol dire che le case produttrici avevano convenienza a mettere in circolazione anche un certo numero di pezzi di ricambio a prezzi vantaggiosi, a disposizione dei centri assistenza per le riparazioni, perchè la grande diffusione dei modelli faceva sì che la riparazione diventasse un'ulteriore occasione di guadagno.

Inoltre (e questo è abbastanza ovvio), quelli che ora si chiamano feature phone erano molto più semplici da gestire degli odierni smartphone. Trattandosi essenzialmente di una scheda madre con i componenti saldati su, bastavano delle skill minime per effettuare riparazioni soddisfacenti e posticipare l'acquisto del nuovo modello. I negozi e negozietti che offrivano riparazioni tra i vari servizi erano molto presenti nelle nostre città, non era necessario rivolgersi a centri particolamente specializzati e molte volte nel giro di pochi giorni si ritornava in possesso del proprio telefono funzionante.

A monte di tutto, c'era poi il prezzo di vendita dei dispositivi stessi. Inizialmente altissimo, è andato via via abbassandosi fino a diventare più accessibile, ma rimanendo sempre su cifre non destinate proprio a tutti e questo contribuiva alla percezione che il telefonino fosse un oggetto di valore da trattare bene e far durare il più possibile.

Vi abbiamo già parlato dell'obsolescenza programmata e dell'impatto che ha sia sull'economia che (soprattutto) sull'ambiente. Negli anni, la situazione è diventata via via sempre più complicata: i modelli di terminali sono tantissimi, molto più complicati, dal prezzo sempre più basso e, soprattutto, sono costruiti con materiali sempre meno performanti. Questo per andare incontro alla richiesta di avere smartphone il più possibile completi a un costo contenuto, ma il rovescio della medaglia è anche un'inevitabile fragilità e tendenza a rompersi più frequentemente.

L'orientamento è ormai chiaro, anche a livello di case madri. Quasi tutte non incoraggiano più la pratica della riparazione, pur non ponendosi in aperto contrasto con la cosa (ricordiamo che il consumatore ha sempre diritto alla riparazione e che qualsiasi comportamento atto a impedirla è sanzionabile). Innanzitutto, sembra essere sempre più difficile accedere ai centri di assistenza, con procedure lunghe e complicate e tempi di attesa molto dilatati. Inoltre, è stato dimostrato come in alcune situazioni sia stato installato all'interno dei dispositivi (non solo telefoni o smartphone, ma anche elettrodomestici) un software che alla scadenza dei due anni di garanzia portava il bene a rompersi o comunque a degradarsi.

In questo modo, il consumatore entra in una specie di loop di acquisto dal quale è molto difficile uscire. Il danno non è solo economico, nel momento in cui ci si sente costretti a sostenere ex novo una spesa magari in quel momento imprevista. È assolutamente da considerare l'aspetto ambientale, in termini di nuovi RAEE prodotti e non sempre purtroppo correttamente smaltiti.

La proposta europea

In questo senso si sta muovendo il Parlamento Europeo, che ha programmato per dopo l'estate la presentazione di una proposta a tutela dei consumatori che desiderino riparare i propri dispositivi. Oltre all'obbligo da parte dei produttori di fornire informazioni chiare circa la riparabilità, la disponibilità di pezzi di ricambio ed eventuali istruzioni, Bruxelles intende aggiungere a quelle già presenti una serie di pratiche che a questo punto verrebbero esplicitamente marcate come sleali e quindi sanzionabili. Le azioni che diventerebbero illegali sono:

  • omettere di informare i consumatori dell'esistenza di una caratteristica introdotta nel bene per limitarne la durabilità, come ad esempio un software che interrompe o degrada la funzionalità del bene dopo un determinato periodo di tempo;
  • formulare dichiarazioni ambientali generiche o vaghe laddove l'eccellenza delle prestazioni ambientali del prodotto o del professionista non sia dimostrabile. Esempi di dichiarazioni ambientali generiche sono "rispettoso dell'ambiente", "eco" o "verde", che suggeriscono o danno erroneamente l'impressione di un'eccellenza delle prestazioni ambientali;
  • formulare una dichiarazione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso quando in realtà riguarda soltanto un determinato aspetto;
  • esibire un marchio di sostenibilità avente carattere volontario che non è basato su un sistema di verifica da parte di terzi o stabilito dalle autorità pubbliche;
  • omettere di informare che il bene dispone di una funzionalità limitata quando si utilizzano materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non forniti dal produttore originale.

Non ci resta che attendere la scadenza comunicata per conoscere i dettagli di questa proposta e soprattutto le modalità di controllo e le conseguenti sanzioni.

Pubblicato il:
28/3/2023

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